UN’ASSOCIAZIONE DEGLI ARTIGIANI DEL CIBO? SI’ MA CON REGOLE SERIE.

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Giampaolo Sodano, vicepresidente dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari, ha rilanciato la sua idea di un’associazione di tutti gli artigiani del cibo. E ha pubblicato la sua proposta in un ricco e documentato testo sulle pagine del gruppo chiuso della nostra Accademia. Questo gli abbiamo risposto

 

Caro Giampaolo,

di parole ne abbiamo dette e scritte tante ma gli operatori della filiera agroalimentare, come quelli del turismo, che sono coloro che permettono al nostro paese di sopravvivere, sono invece le cenerentole del nostro sistema economico.

Sono torturati da istituzioni criminali e masochiste che tartassano i contadini, i ristoratori, gli artigiani del cibo perché sono i MENO UNITI e quindi indifesi così con loro possono far cassa passando sopra a qualsiasi logica di buon senso ed equità. Ecco cosa serve agli artigiani del cibo (e del turismo) per sopravvivere: una forza che li difenda tutti presso le istituzioni imponendo regole e prassi eque. E li difenda presso i singoli uffici prevaricatori difendendo gli artigiani uno a uno quando serve (e quando, come quasi sempre, hanno ragione).

Serve che ci sia una forza non ricattabile che li liberi dal costante ricatto! Ottenuta serenità nel lavoro e certezza del diritto da un’associazione, ecco che ne comprenderanno l’importanza e saranno aperti a quelle azioni comuni di promozione, visibilità, formazione che servono per fare emergere al 100% una forza possente che oggi, invece, emerge solo qua e là grazie alla creatività dei singoli.

Ma facciamola questa associazione, ne sento parlare da anni senza segni concreti.

l’Accademia delle 5T, nel suo piccolo, è pronta a impegnarsi. A una condizione però: regole serie per entrarci, se no ci entrano pure quelli che fanno la spremuta d’olive con le cisterne, le mozzarelle con le cagliate di Chernobyl, i salami sottoplastica. Non facciamo come i disciplinari di certe DOP e IGP (non dell’olio) fatti dalle industrie più becere a danno degli artigiani.

 

L’ARTICOLO DI GIAMPAOLO SODANO

“Guardiamo avanti. Dobbiamo aprirci a idee nuove per lo sviluppo: l’impresa artigiana del cibo, che costituisce il tessuto produttivo del mondo agroalimentare italiano, si è sempre trovata di fronte ostacoli che hanno impedito il successo pieno del suo prodotto. Infatti il problema principale è il valore del prodotto, perché non è sufficiente mettere a punto “prodotti specialità”, ma è necessario far nascere “mercati specialità”. Pensare ancora che basti fare il prodotto tipico o naturale e inserirlo all’interno di mercati competitivi per avere distintività e successo è assolutamente velleitario. L’esperienza di migliaia di piccole aziende sta lì a dimostrare che l’operazione “nicchia” non solo non funziona, ma crea un indebito vantaggio ai prodotti speculativi dell’industria che, sfruttando le virtù e le qualità dei prodotti artigianali, ne hanno capitalizzato gli aspetti qualitativi – assumendone spesso i connotati – e vincendo la partita sul piano economico. “Guadagnare con le nicchie non è affatto facile: di solito i cibi particolari vengono lavorati da piccole imprese, che fanno fatica a produrre grandi quantità di merce, a distribuirla”, ha scritto il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, “è questa la sfida futura del settore agroalimentare italiano: continuare a puntare sulle diversità, riuscendo allo stesso tempo ad accrescere il volume della produzione e delle vendite”. È il messaggio lanciato dalla Rocca dei Papi di Montefiascone dagli artigiani dell’olio, riuniti per il Congresso dell’AIFO, a tutti gli artigiani del cibo. E’ una sfida che si può vincere, ma alla condizione di fare sistema e di creare un nuovo mercato.

La premessa: siamo per un cibo buono, sano e nutriente.

Lo scandalo dell’olio deodorato, dell’olio di palma, lo scandalo della carne suina e quello del latte e dei formaggi dimostrano che, nonostante l’impegno per la massima trasparenza e pulizia nel settore agroalimentare, il malaffare continua a imperversare. Più o meno quello che succede in altri settori della vita economica del nostro Paese e non da oggi. Ma con una grande differenza: le tangenti fanno male alla nostra tasca, le truffe alimentari fanno male alla nostra salute. In uno dei tanti talk della nostra televisione, il giudice Colombo ha dato una risposta convincente al tema della corruzione: non è con la repressione che si combatte questo fenomeno per il semplice fatto che è così diffuso, e permea tutti i nostri comportamenti, per cui la soluzione non è la repressione, ma l’educazione, l’educazione alla legalità. Un compito delle famiglie, della scuola, un dovere dei cittadini.

Ma gli artigiani del cibo devono fare di più, hanno l’obbligo di dire ai cittadini qualcos’altro. Dobbiamo dire al consumatore che può continuare pure a comprare l’olio-civetta a 2,49 o la pizza margherita a 2,99, ma deve essere consapevole che quel comportamento suona come una giustificazione per un’industria alimentare cinica e bara che non esita, per fare profitto, a mettere in commercio prodotti che, se non fanno male alla salute, certamente non hanno il valore che il cittadino paga. Forse non è una frode, ma è qualcosa che ci somiglia molto!

Noi dobbiamo offrire a quel consumatore un’alternativa. Un cibo buono, sano e nutriente. Ad un prezzo giusto.

Ma dobbiamo avere la consapevolezza che se limitiamo il nostro agire all’offerta di un prodotto, anche se buono e sano, la partita è persa.

Dobbiamo riacquistare un legame forte con la società. Nei secoli passati gli artigiani hanno lasciato un segno indelebile della loro presenza, del loro lavoro. Ma oggi, cosa sta dando la nostra generazione? Che tipo di rapporto abbiamo con il nostro territorio? Che rapporto con il nostro consumatore? Con la comunità in cui viviamo.

Dobbiamo darci un codice etico. Solo recuperando importanza nell’immaginario collettivo potremo far sentire più forte la nostra voce.

I mercati stanno subendo un radicale mutamento per effetto della lunga e profonda crisi economica, della globalizzazione, dell’entrata sulla scena di nuovi paesi emergenti, dello spostamento della ricchezza da ovest verso est. Nulla è come prima: si impone un cambiamento di mentalità e di offerta, le aziende devono essere capaci di anticipare le richieste del mercato e l’Italia deve valorizzare le sue ricchezze.

Anche l’agricoltura non è e non sarà più la stessa: acquisteranno spazi nuovi quelle imprese caratterizzate da un alto tasso di specificità territoriale. Una agricoltura che deve far leva su una produzione di materie prime che puntino sulla unicità e sulla qualità, facendo da contrappunto alla produzione massificata e priva di specificità dei prodotti agricoli buoni per l’industria e per le grandi multinazionali.

La biodiversità è un bene prezioso che andrà sempre più tutelato, come prevede la convenzione firmata da quasi tutti i paesi del mondo a Rio de Janeiro. In questo contesto l’impresa artigiana è destinata sempre più ad essere un naturale presidio di questo bene prezioso perché capace di garantire il proprio prodotto avendo il controllo dell’intera filiera, la competenza professionale nella gestione delle tecnologie e la trasparenza nel processo di produzione e distribuzione.

Il consumatore ha il diritto di sapere chi è colui che ha prodotto il cibo che ha acquistato e deve essere certo della sua professionalità. L’artigiano del cibo, produttore o chef, deve avere la patente. Il consumatore sarà così sicuro di acquistare o mangiare un cibo eccellente di cui è garantita la trasparenza del processo produttivo nell’impresa o in cucina, l’origine e la genuinità.

La mappa dei consumi, dopo lo shock della crisi economica-finanziaria, riflette il processo di ristrutturazione delle filiere. Un processo questo, che ha portato molti operatori della grande distribuzione ad interpretare il mercato secondo logiche che guardano all’essenzialità e alla qualità dei consumi. Questo trend riflette i nuovi atteggiamenti del consumatore che, dopo aver metabolizzato la crisi a livello psicologico, ha cambiato gli atteggiamenti d’acquisto. Il leitmotiv oggi è “spendo meno ma meglio, per avere valore”.
Tutto questo si traduce in una maggiore attenzione al processo di spesa, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi che passa attraverso il controllo dello scontrino per evitare gli sprechi. Ha preso piede la spesa giornaliera vicino casa, si elimina la dispensa, e si torna ad acquistare “3 mele” rispetto ai 3 kg di mele del sacchetto convenienza dell’ipermercato.

Partendo dalla crisi che ha investito il vecchio sistema commerciale dobbiamo aprirci a idee nuove per lo sviluppo: l’impresa artigiana del cibo si è sempre trovata di fronte l’ostacolo della distribuzione che ha impedito un vero successo commerciale del suo prodotto. Pur sapendo che la qualità del prodotto è diventato un punto importante nella graduatoria degli elementi di valutazione dell’acquisto sappiamo anche che non è sufficiente mettere a punto “prodotti specialità”, ma è necessario far nascere “mercati specialità”.

Con queste idee, con una rinnovata partecipazione a Confartigianato, vogliamo contribuire ad una nuova rappresentanza unitaria delle imprese e delle professioni che creano e producono cibo. Una nuova associazione per fare un patto. Il patto di tutti gli artigiani che fanno un cibo a regola d’arte, di tutti gli agricoltori che coltivano una materia prima sana e tipica, di tutti i distributori che vogliono un mercato trasparente, di tutti i consumatori che vogliono un cibo sano e nutriente al prezzo giusto.

Un patto per un mercato del made in Italy di qualità.

Una nuova associazione degli artigiani del cibo per un cibo artigianale, per un mercato trasparente di prodotti sani, è il contributo che possiamo dare per un Paese diverso, per un’Italia migliore e con le nostre aziende, e con il nostro lavoro, essere tra i protagonisti del rinnovamento di cui il nostro Paese ha bisogno.

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